la Cina ha risposto alla crisi economica provocata dal Covid-19 allungando il passo, segnando così nel terzo trimestre del 2020 un PIL in crescita annua del 4,9%, in aumento sul 3,2% dei tre mesi precedenti. Un po’ meno rispetto alla previsione degli analisti, che si aggirava intorno al 5,2%.
Rimanendo comunque l’unico paese indicato dall’ FMI in crescita nel 2020, a +1,9% secondo le stime di ottobre. Di fronte al doppio shock di domanda e di offerta noi (in America e in Europa) abbiamo sostenuto la domanda, la Cina ha sostenuto l’offerta, tanto che il governatore della Banca centrale Yi Gang prevede una crescita nel 2021 al 2% e un dato già positivo nei primi mesi.
Noi abbiamo supportato le famiglie e i consumi, sia con assegni inviati a casa direttamente dal Tesoro sia inducendo le imprese medie e grandi a mantenere il lavoro e garantire lo stipendio ai dipendenti anche quando l’attività è restata bloccata, pena il mancato accesso agli aiuti pubblici (in Europa). La Cina al contrario non ha offerto alcun sostegno alle famiglie e alla loro domanda di consumi e ha concentrato gli aiuti sulle imprese a patto che riprendessero a produrre, ha indotto i centri commerciali a restare aperti anche di notte, ha permesso il commercio informale e ha rilanciato le sue politiche anticicliche tradizionali riguardo infrastrutture e costruzioni. In pratica, noi ci siamo trovati con più soldi che prodotti, mentre la Cina si è trovata con più prodotti che soldi. La Cina ha quindi prodotto per noi, esportando, e noi abbiamo consumato anche per lei, importando. Il PIL cinese chiuderà quindi il 2020 con un segno positivo, mentre il resto del mondo invece con un segno ampiamente negativo.
La bilancia delle partite correnti cinese, da qualche anno in pareggio, è quindi tornata in attivo e questo, insieme ad altri fattori, ha provocato un rafforzamento consistente del renminbi. Se alla fine di maggio occorrevano 7.19 renminbi per comprare un dollaro, oggi ne bastano 6.84.
Secondo quanto si apprende, il tasso di ripresa, della produzione delle principali aziende industriali nella provincia cinese dello Hubei, ha raggiunto il 98,2%, segnando di fatto un pieno ritorno alla normalità dopo la crisi sanitaria. Lo ha reso noto in conferenza stampa il quartier generale provinciale per la prevenzione ed il contenimento dell’epidemia. La percentuale di dipendenti tornati al lavoro nelle principali catene di montaggio della provincia è al 93%.
Per quanto riguarda le micro, piccole e medie imprese, ha spiegato in conferenza stampa Meng Chunlin, vice-direttore del dipartimento provinciale per l’economia e le tecnologie dell’informazione, il tasso di ripresa della produzione è ancora inferiore all’80%. Tuttavia, la decisa ripresa economica della Cina non è ascrivibile solamente alla sua forte vocazione manifatturiera e alla sua integrazione nelle catene del valore globale, ma ha molto a che vedere anche con il suo autosostentamento.
In conclusione, ci sono tutti i presupposti perché la Cina diventi il polo più importante dell’economia mondiale.